La croce che va verso il Natale

Saturday 25 December 2021

Nel giorno di Natale, sabato 25 dicembre 2021, mons. Redaelli ha presieduto la liturgia eucaristica nella chiesa di S. Ignazio. Di seguito pubblichiamo i passi centrali della sua omelia.

Se avessimo più tempo e non fossimo impediti dalla pandemia, che per fortuna ci lascia comunque celebrare il Natale, vi avrei fatto distribuire un foglietto e una penna e vi avrei chiesto di scrivere 10 parole che per voi sono importanti, che sentite nel profondo di voi stessi. Ma vi propongo ugualmente qualche istante di silenzio per lasciar emergere dentro di voi magari non dieci, ma tre parole.

Non vi chiedo di dirmele, ma tenetele a mente e ripensatele, magari questa sera, se riuscirete ad avere qualche minuto di silenzio. Vi dico le tre parole che sento dentro di me in questo momento: tenerezza, preoccupazione, speranza. Ma non si soffermo su di esse: le tengo per me e ci rifletterò quest’oggi.

Perché è importante prendere consapevolezza delle parole che sono nel profondo di noi, al di sotto cioè delle chiacchiere, dei convenevoli, dell’elenco delle cose da fare, di quello che ci passa per la testa?

Perché noi alla fine siamo parola. La verità di noi stessi sono le parole profonde che abbiamo dentro di noi. Perché è la parola che fa la persona. È esattamente ciò che avviene per Gesù: Lui è la Parola fatta carne. Lo ha appena affermato il Vangelo: «il Verbo si fece carne». In Gesù la Parola e l’uomo coincidono, l’unica Parola che è il Verbo di Dio. E quell’unica Parola si è espressa in tante parole d’uomo, a cominciare dai balbettii di un bimbo di pochi mesi.

In noi ci sono invece tante parole, spesso confuse, intrecciate, sovrapposte, che ci vengono da fuori e poi restano dentro. Per questo spesso facciamo fatica a trovare una nostra identità, rischiamo di smarrirci. Perché ogni parola è come una maschera e talvolta abbiamo così tante maschere intercambiabili da dimenticare quale sia il nostro vero volto.

Dicevo che noi siamo parola, in concreto siamo le parole che ascoltiamo. Se da piccoli ascoltiamo parole di amore, di apprezzamento, di comprensione, di incoraggiamento ecco che la nostra personalità si sviluppa in modo sereno, armonico, sicuro. Se invece fin da piccoli si ascoltano solo parole di disprezzo, di svilimento, di cattiveria ecco che si diventa persone incerte, insicure, prive di stima di sé. Lo stesso vale per quanto ci viene detto circa gli altri: se presentati come persone, come soggetti da rispettare, da amare, da accogliere, allora si sviluppa in noi una personalità positiva, aperta, disponibile. Se al contrario, fin da piccoli ci vengono inculcati pregiudizi, paura degli altri, disprezzo verso di loro, allora si diventa una persona chiusa, diffidente, gretta.

Le parole plasmano le persone e i popoli: non per niente le dittature danno così rilievo alle parole e il mercato così importanza alle parole della pubblicità. E spesso le parole diventano anche immagini in un intreccio di suoni, di colori, disegni che entrano dentro di noi e suscitano emozioni, desideri, attrazioni e disgusti.

Da piccoli non possiamo scegliere che parole ascoltare e far entrare in noi; da adulti, invece, abbiamo una certa capacità di scelta, non totale perché i condizionamenti esterni sono tanti, ma certamente una possibilità di dire di sì o di no.

La seconda lettura di oggi ci ha detto che Dio «molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti», e che ora «ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio». Ci sono quindi parole di Dio rivolte a noi e la Parola definitiva è il Figlio che si è fatto carne ed è nato in mezzo a noi. Quel Figlio – afferma sempre la seconda lettura – «mediante il quale Dio ha fatto il mondo». Quindi la Parola che è Gesù non è solo la Parola definitiva, ma è anche quella iniziale, quella che ha dato origine a tutto, anche a ciascuno di noi.

Riconoscere Gesù come la Parola vera della nostra vita, significa trovare il senso profondo di noi stessi e del nostro esistere. Accoglierlo come Parola vera, ci porta a essere figli di Dio. Dice infatti il Vangelo: «A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati». Celebrare il Natale significa allora riconoscere che Gesù è la nostra Parola ed è Parola di verità. Ne abbiamo tanto bisogno soprattutto oggi, in questo tempo così confuso, frastornato da parole, grida, notizie, gossip, fakes news. Abbiamo una grande necessità di trovare una parola che sia una roccia su cui ancorarci, su cui costruire la casa della nostra vita.

Come fare in concreto per accogliere in questo Natale Gesù come la Parola vera? Tre semplici suggerimenti. Anzitutto fare un po’ di silenzio dentro e fuori di noi, fare un po’ di pulizia e mettere qualche filtro circa quello che ascoltiamo, vediamo, pensiamo, sentiamo… Un po’ di igiene delle orecchie, degli occhi, della mente e del cuore non fa male. E poi conoscere il Signore, contemplare la sua vita, ascoltare e leggere il suo Vangelo, vedere che cosa dice, pensa e come agisce. Chiedendo allo Spirito Santo di farci entrare sempre di più nella conoscenza di Gesù. Anche in modi molto semplici: per esempio, fermandoci qualche minuto in silenzio davanti al presepe e contemplando il mistero del Natale. Infine, un ultimo suggerimento è quello di domandarci, soprattutto in alcuni momenti, quale parola il Signore ci sta dicendo e decidere di pensare, sentire e agire secondo quella parola.

Vi auguro che il Verbo di Dio, la Parola di Dio nasca e resti in ciascuno di voi. Auguri a tutti: Buon Natale, Vesel Božič, Bon Nadâl.

+ Vescovo Carlo

 

La notte di venerdì 24 dicembre 2021 l’arcivescovo Carlo ha presieduto la messa in Cattedrale ed ha pronunciato la seguente omelia.

Tra i regali più utilizzati (e anche particolarmente graditi) a favore di un vescovo, soprattutto nei primi tempi della sua nomina, sono le croci pettorali. Anch’io ne ho diverse e tutte sono legate a un ricordo e talvolta a una persona o a persone care.

Quella che indosso mi è stata donata anni fa ed è forse quella più particolare. È opera di un noto artista, Floriano Bodini, che ha prodotto lo stesso soggetto in bronzo nella porta santa della basilica di san Giovanni in Laterano a Roma.

Il soggetto è del tutto particolare: rappresenta il crocifisso e ai piedi della croce, anzi fusa con il braccio verticale della croce, la Madonna con in braccio il Bambino. Un Bambino che sembra sfuggirle dalle braccia e alza la mano sinistra verso la croce, mentre la destra è appoggiata sul globo che rappresenta il mondo. Per altro anche il braccio destro di Maria è innalzato verso l’alto e la sua mano destra indica la croce

Natale e venerdì santo fusi insieme. Sembra qualcosa di vero – perché è vero che quel Bambino, diventato uomo, dovrà morire in croce e che quella giovane mamma dovrà diventare la madre dolorosa –, ma insieme di eccessivo. Stavo per dire, di cattivo gusto. Quasi un mettere qualcosa di amaro in un dolce. Un rovinare la magia del Natale. Viene da dire: “Sì, è vero, quel Bambino sarà anche il Crocifisso, ma per favore, lasciatecelo godere almeno a Natale, non rovinate la poesia di una notte magica”.

Certo il Natale è poesia, soprattutto quando si è bambini, e da grandi resta un po’ di nostalgia nel ricordo. Lo abbiamo letto anche nell’intervista di papa Francesco apparsa oggi su alcuni giornali, quando ricorda i cappelletti preparati per il pranzo di Natale dalla nonna e dice che ama tanto le canzoni natalizie “che sono piene di poesia, trasmettono pace, speranza, creano l’atmosfera di gioia per il Figlio di Dio che nasce sulla terra come noi, per noi”.

Sempre guardando questa strana croce, mi sono tornate in mente le rappresentazioni orientali della natività. Anche lì c’è un collegamento tra la nascita e la morte di Gesù, perché la culla in cui Gesù viene posto non ha la forma di una mangiatoia, ma di un sarcofago. Cattivo gusto anche in questo caso? Ma riflettendo mi sono soffermato su un particolare: è vero le icone orientali presentano il Bambino Gesù dentro un sepolcro, ma se dicessimo il contrario: cioè rappresentano un sepolcro con dentro non un morto, ma un Bambino vivo? Non sarebbe la stessa cosa.

E se ci fosse l’inversione dello sguardo anche sulla mia croce: cioè non il Natale che va verso la croce, ma la croce che va verso il Natale? In altre parole, se quello che ha voluto rappresentare l’artista in coerenza con le icone della natività non fosse il collegamento tra il Natale e il venerdì santo, ma tra il Natale e la Pasqua? Affermando così che è la vita che vince sulla morte, che la risurrezione è una nascita e una nascita per sempre?

Per chi di voi viene qui in chiesa anche la notte di Pasqua, partecipando alla veglia pasquale, è facile cogliere un altro forte collegamento tra Natale e Pasqua: che cosa nella Veglia Pasquale segna l’inizio della Pasqua se non esattamente lo stesso canto degli angeli che il Vangelo di stanotte ci presenta, cioè il gloria? E mentre lo si canta, si suonano le campane per dire che la vita ha vinto.

Il Natale è allora collegato alla Pasqua, ma precisamente alla vita che sgorga a Pasqua, che rinasce per sempre. Certo, passando dal venerdì santo, dalla morte, dal dolore, dal peccato, ma alla fine è la vita che vince.

Possiamo allora essere contenti questa notte e cantare anche noi l’inno degli angeli: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini che egli ama». Possiamo condividere la stessa certezza del profeta che contempla un popolo immerso nelle tenebre – oggi potremmo dire immerso nella pandemia… – che vede una grande luce: «Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse». E ci invita alla gioia: «Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. […] Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio».

Con ragione Paolo, nella seconda lettura, ci ricorda che «è apparsa la grazia di Dio». Quella grazia che non è una realtà astratta, ma il Figlio di Dio divenuto uomo, un bambino nella grotta di Betlemme, un ragazzo e un giovane vissuto nel nascondimento di Nazaret, un profeta potente in opere e parole per le strade della Palestina, il crocifisso per la nostra salvezza, il risorto per la nostra vita.

Questo intreccio tra morte e nascita, dove la nascita, la vita alla fine vince, vorrei che fosse per ciascuno di noi il vero e profondo dono del Natale. Lo auguro di cuore a tutti. Vorrei che fosse un augurio non solo per chi in questo momento sta celebrando il Natale in questa cattedrale inondata di luce o in altre chiese sparse nel mondo, ma anche per chi è provato dalla malattia, dalla solitudine, dalla povertà, da tante sofferenze. Per chi si trova in ospedale, nelle case di riposo, in carcere (e mi è molto dispiaciuto di non essere potuto entrare anche quest’anno, a causa del Covid, in questi luoghi di sofferenza, ma anche di tanta umanità…).

Teniamo nel cuore in questo momento tutte queste persone, ma anche sentiamoci pieni di gioia per tanti bambini che, nonostante tutto, vengono ancora al mondo: il Natale continua, la vita alla fine vince. E allarghiamo il cuore pensando a tanti gesti di amore, spesso sconosciuti, che avvengono in ogni parte del mondo e fanno in modo che ogni giorno sia un po’ Natale, un Natale, di vita, di luce, di amore.

Auguri a tutti: Buon Natale, Vesel Božič, Bon Nadâl.

+ Vescovo Carlo

 

 

(foto della celebrazione in cattedrale di Sergio Marini)