Le donne ed il profumo di Pasqua

Sunday 27 March 2016

L’arcivescovo Carlo ha presieduto in cattedrale nella sera del Sabato Santo – 26 marzo 2016 – la solenne Veglia Pasquale. Nel giorno di Pasqua – 27 marzo 2016 -, alle ore 6.30, ha assistito alla celebrazione del Resurrexit della comunità slovena diocesana (nella foto È.J.) e successivamente ha presieduto il solenne pontificale del giorno di Pasqua. Di seguito le omelie da lui pronunciate nel corso delle liturgie.

SOLENNE VEGLIA PASQUALE

Tutto era successo quel pomeriggio. Lui che procedeva incatenato e strattonato verso il calvario. Dietro, a pochi passi, un uomo visibilmente contrariato che i soldati romani avevano bloccato mentre tornava dai campi e costretto a prendere la croce che Lui non era più in grado di sorreggere. Noi ci eravamo avvicinate, piangenti, in un punto dove la strada faceva una svolta e la scorta dei soldati si era per un momento allargata. Una di noi era riuscita persino ad avvicinarsi a Lui, a tirare fuori un fazzoletto e a passarglielo fugacemente sul volto insanguinato.

Si era poi fermato, voleva dirci qualcosa, i soldati tentavano di spingerlo a proseguire, ma poi avevano accettato in qualche modo una pausa. Ci aveva detto: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: “Beate le sterili, i grembi che non hanno generato e i seni che non hanno allattato”. Allora cominceranno a dire ai monti: “Cadete su di noi!”, e alle colline: “Copriteci!”. Perché, se si tratta così il legno verde, che avverrà del legno secco?» (Lc 23,28-31).

Noi avevamo continuato a piangere senza riuscire a dire neppure una parola a Lui che si allontanava inciampando spesso nel selciato sconnesso, spinto dai soldati, seguito dal contadino che portava la sua croce e da altri due condannati che trascinavano a fatica la loro. Poi eravamo state a guardare da lontano: la spogliazione e la crocifissione: ah, i colpi cupi del martello, quei colpi che raggiungevano il cuore della madre, sconvolta dal dolore, e che due di noi sorreggevano…

Avevamo visto che chi era stato crocifisso alla sua destra gli diceva qualcosa e che Lui rispondeva, ma eravamo troppo distanti per percepire il loro dialogo. Intanto il sole si era oscurato, il cielo era diventato livido, c’era un’atmosfera strana, quasi elettrica come prima di un temporale, persino i rumori che provenivano dalle vie della città erano diventati un cupo brusio. Lui aveva guardato in alto e la sua bocca si era mossa come per un’ultima invocazione e poi aveva chinato il capo. Tutto era finito.

Eravamo come bloccate, non riuscivamo a muoverci da lì. Ma poi era arrivato un uomo seguito da altri due – qualcuna di noi lo conosceva come un amico di Lui, un certo Giuseppe d’Arimatea – si era avvicinato a noi e aveva detto sottovoce: “Pilato mi ha dato il permesso di seppellirlo. Due anni fa ho comprato qui vicino una tomba. Lo metteremo lì”. Avevamo visto che si era avvicinato alla croce, aveva parlato con il centurione e questi aveva dato ordine di lasciarlo passare con gli altri due uomini. Lo avevano staccato dalla croce, avvolto in un lenzuolo, portato alla tomba. Nel frattempo era arrivato Nicodemo, un altro discepolo nascosto di Lui, con una buona quantità di mirra e di aloe che aveva sparso sul suo corpo, così in fretta, perché stava per arrivare la sera e incominciare il riposo del sabato. Lo avevano poi deposto nel sepolcro che avevano chiuso rotolando una grossa pietra.

A quel punto, quasi di corsa per non trasgredire l’obbligo del riposo del sabato, eravamo andate tutte a casa di Maria di Betania. Giuseppe ci aveva detto: “tornate il giorno dopo il sabato per completare la sepoltura”. Nell’abitazione di Maria, una donna appartenente a una famiglia agiata, c’erano tanti aromi e profumi. Ci siamo messe in silenzio a mescolarli nella misura adatta e a cercare in casa bende e panni di lino per potergli asciugare i residui di sangue, di sudore e – purtroppo – anche degli sputi che si era preso in faccia. C’era una boccetta vuota, che emanava ancora l’aroma intenso del nardo. Maria vi aveva sparso il contenuto sui piedi di Lui sette giorni prima. Giuda, uno dei dodici, aveva protestato parlando di uno spreco, di un dovere verso i poveri, ma Lui aveva detto una frase enigmatica che solo ora cominciavamo a capire: «Lasciala fare, perché essa lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me».

Il mattino dopo il sabato ci siamo recate molto presto al sepolcro con aromi e bende, in anticipo rispetto all’ora concordata con Giuseppe. Doveva venire ad aiutarci a rotolare la grossa pietra e al resto avremmo pensato noi. Ma la pietra era stata rotolata via… Che cosa poi è successo, lo avete sentito poco fa dal diacono. E quello che è avvenuto dopo lo raccontano bene i Vangeli: Lui è risorto, lo hanno visto Simone, Maria di Magdala, i due di Emmaus, gli apostoli, anche noi e tanti altri.

Lui è vivo! Lui è risorto! Non c’è più posto per le lacrime, per i lamenti, per lo scoraggiamento. Anche noi abbiamo trovato una vita nuova, lo Spirito ci ha riempito del suo fuoco a Pentecoste ed è per questo che ora possiamo annunciarvi il nostro “alleluia”.

E i profumi e gli aromi? Ormai inutili direte voi. Sì, dovevano servire a coprire l’odore della morte, ad avvolgere ancora una volta di affetto un corpo amato e venerato, a circondare di amore il cadavere di Colui che è l’amato, di Lui che nella sua vita, scandalizzando i suoi ospiti, si era lasciato più volte inondare del profumo versato sul capo o sui piedi da donne, persino da una peccatrice. Ma Lui ora è risorto! Il profumo di Pasqua è il profumo del risorto, il profumo della vita nuova, il profumo dell’amore.

E i nostri profumi? Li abbiamo affidati alla Chiesa, a voi. Stasera ungeranno una bambina che viene battezzata, segneranno la fronte di giovani che vengono cresimati. Tutti voi che siete presenti siete stati profumati con il profumo di Cristo. Non dimenticatelo mai. L’odore della morte, il fetore del peccato non abbia più spazio nella vostra vita. Portate nel mondo il profumo di Cristo. Portate con la vostra vita nelle vostre case, nei vostri luoghi di lavoro, negli spazi delle relazioni il profumo della Pasqua, il profumo del Risorto. Ve lo chiediamo con insistenza noi, le donne mirrofore, le donne del profumo, le donne della Pasqua. Cantate con noi l’alleluia.

† Vescovo Carlo

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MESSA DEL GIORNO DI PASQUA

 

Quando Pietro deve presentare il fondamento della sua testimonianza circa Gesù risorto ai suoi ascoltatori pagani, non porta come prova particolari prodigi o miracoli e neppure idee nuove o messaggi appassionanti. Dice semplicemente: «noi abbiamo mangiato e bevuto con Lui dopo la sua risurrezione dai morti». Tutto qui? Il Figlio di Dio risorto come un commensale qualunque, come uno dei parenti o dei nostri amici che tra poco condivideranno con noi il pranzo pasquale?

Certo, il mangiare e il bere con il Risorto poteva essere visto come una prova che Lui non era una visione, una specie di fantasma, uno spirito vagante, ma un uomo reale, vivo e vegeto, in carne ed ossa. Ma è molto di più. Dice una relazione normale, quotidiana, umana con Gesù. La risurrezione non estranea Gesù dalla nostra usuale realtà.

Gesù risorto vive ormai in una dimensione che supera la nostra e lo stesso evento della risurrezione è fuori dalla nostra esperienza e di esso ci sono solo alcuni segni che interpellano la fede, come anche il brano di Vangelo di oggi ci narra parlando di Simon Pietro e dell’altro discepolo che corrono alla tomba vuota. Ma le sue apparizioni, presentate dai Vangeli e dai libri del Nuovo Testamento come testimonianze fondamentali per la nostra fede, non possono essere ridotte a mere esperienze interiori fatte dagli apostoli e dai discepoli che di fronte alla tomba vuota avrebbero progressivamente maturato l’idea che la morte non poteva avere l’ultima parola. No, sono realtà storiche che hanno coinvolto diverse persone (san Paolo, per esempio, nel capitolo 15 della 1 Corinti ne fa un lungo elenco), sono modi con cui Gesù ha fatto sperimentare sensibilmente la sua presenza.

Troppe volte pensiamo all’ambito religioso come qualcosa di lontano dalla nostra realtà umana. La liturgia stessa ci può spingere a questo. E’ giusto che ci siano dei particolari segni che connotino il nostro trovarci in chiesa a celebrare. Il prete non celebra in giacca e cravatta o in blue jeans; ci sono le candele, l’incenso, il coro… Tutti elementi che dicono un’attenzione particolare, una specialità, una festa. Fin qui tutto bene, ma i diversi elementi non ci devono far dimenticare che questo è un banchetto con Gesù, un essere suoi commensali, per essere suoi amici, suoi compagni nella vita di ogni giorno.

Nei giorni scorsi sono stato in diverse ditte e in alcune ho anche celebrato la Messa. In alcune altre andrò nei prossimi giorni. Un gesto di augurio e di benedizione, ma anche un richiamo con un segno eccezionale – perché l’ambiente del lavoro non è e non deve essere di solito il luogo per la liturgia – a qualcosa che dovrebbe essere normale per il cristiano: vivere sempre con Gesù anche sul lavoro. Del resto le ultime parole di Gesù nel Vangelo di Matteo sono: «io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». Non dice io sono con voi a Pasqua, a Natale, alla domenica, ma “tutti i giorni”.

Se vivessimo nella normalità della nostra vita una continua vicinanza con il Signore, allora tutto cambierebbe, allora saremmo davvero testimoni di Lui, della sua risurrezione. Gesù non è un’idea, una morale, una serie di principi. Gesù è persona, è vivo ed è con noi, ogni giorno, ogni momento. Questo non ci estrania dalla nostra vita, non di distrae dai nostri impegni, non ci allontana dalle relazioni familiari e amicali, non ci porta lontano dal nostro lavoro. Ma dà a tutto questo un senso. E ci fa intuire che anche la vita futura non sarà molto diversa da questa. Quando i vari libri della Bibbia e gli stessi Vangeli parlano del Regno di Dio lo paragonano molto spesso a un grande banchetto, a una festa di nozze, a un pranzo dove berremo il vino nuovo. Capire questo è comprendere la vita cristiana.

Qualche volta ho avuto l’occasione molto bella e intensa di intuire che qualcuno lo stava capendo. Mi è capitato in particolare parlando con i giovani che scelgono la cresima da adulti o anche leggendo quanto mi scrivono (un gruppo l’ha celebrata qui proprio stanotte). Ho visto che per molti di loro la riscoperta di Gesù, la gioia di leggere il Vangelo, il desiderio di ricevere il sacramento si intrecciano spontaneamente con la loro vita, con il loro lavoro, con i loro affetti. Ricordo ancora con commozione la lettera di una giovane signora, che di mestiere fa la parrucchiera, che mi scriveva di aver compreso che il suo essere cristiana era contribuire a rendere belle le altre donne. Aveva capito tutto.

Ma l’apostolo Paolo non ci ha detto nella seconda lettura: «Cercate le cose di lassù»? Ma quali sono le cose di lassù se non lo svelamento del senso profondo delle cose di quaggiù? Se non il sapere che tutta la nostra vita è avvolta dall’amore di Dio e che questo un giorno sarà reso evidente?

L’augurio pasquale è allora quello di stare con Gesù sempre. Qui in chiesa, certo, ma per esserlo fuori, in ogni luogo. Che il Signore risorto ci renda suoi testimoni perché qui mangiamo e beviamo con Lui e perché questa comunione con Lui abbraccia tutta la nostra vita.

† Vescovo Carlo