Per Dio non ci sono persone ignote ma solo figli e figlie

Wednesday 27 October 2021

Nella chiesa di S. Ignazio a Gorizia, mercoledì 27 ottobre 2021, l’arcivescovo Carlo ha presieduto la concelebrazione eucaristica nell’anniversario della traslazione delle undici salme (fra cui venne poi scelta quella del Milite Ignoto) da Gorizia ad Aquileia.

La domanda rivolta a Gesù nel Vangelo – «Signore, sono pochi quelli che si salvano?» – può apparire una questione solo di carattere religioso. Può essere infatti tradotta così: “Sono pochi quelli che vanno in paradiso?”. E può sembrare qualcosa che interessa solo i credenti e appunto un contesto religioso e non certo una situazione di altro tipo, in particolare di guerra.

In realtà, se pensiamo alla salvezza non come riferita al “paradiso”, ma alla vita, credo che dobbiamo riconoscere che è la domanda fondamentale per chi si trova in guerra. Non solo di chi, magari, ci si è trovato senza sapere nemmeno il perché – cosa che probabilmente ha riguardato la maggior parte dei soldati nella prima guerra mondiale … –  e che quindi cercava il modo di “salvare la pelle”; ma anche di chi era andato in guerra motivato – a prescindere ora dalla giustezza o meno di tali motivazioni – e voleva dare comunque un senso alla propria vita, spesso spezzata al primo scontro.

La celebrazione del milite ignoto, cioè del soldato senza nome, figura simbolica e sintetica di tutti i soldati, può essere letta anzitutto come un dare un senso a tutti coloro che hanno perduto la vita in una guerra. Un senso che trova il suo fondamento nei motivi – ritenuti nobili o comunque significativi – per cui una nazione ha affrontato una guerra.

Il fatto che praticamente ogni nazione ha però il proprio “milite ignoto” e lo celebra o lo celebrava per motivi spesso opposti alla nazione vicina o comunque avversaria, può far sorgere il sospetto che tale modalità di celebrazione non sia del tutto giustificata. Sospetto che diventa convinzione se si accetta la posizione della Chiesa che già nella prima guerra mondiale aveva evidenziato che altre modalità rispetto alla guerra potevano e dovevano essere trovate per risolvere controversie e rivendicazioni tra nazioni, soprattutto in un’Europa dove le differenze nazionali nonostante tutto non avrebbero dovuto mettere in questione (e non dovrebbero farlo neppure oggi) l’esistenza di valori condivisi di carattere culturale, sociale e religioso. Papa Benedetto XV aveva definito per questo la guerra in corso come “inutile strage” e aveva cercato in ogni modo di farla finire, proponendo anche misure rispettose degli interessi di ogni nazione e riferite al supremo valore della pace e della giustizia.

Proprio in riferimento a questa impostazione che la Chiesa ha via via maturato, penso ci sia un secondo modo di celebrare il milite ignoto. Ricordo le parole di papa Francesco nel settembre del 2014 a Redipuglia, quando aveva iniziato la sua omelia dicendo: «Dopo aver contemplato la bellezza del paesaggio di tutta questa zona, dove uomini e donne lavorano portando avanti la loro famiglia, dove i bambini giocano e gli anziani sognano… trovandomi qui, in questo luogo, vicino a questo cimitero, trovo da dire soltanto: la guerra è una follia». Finché ci sarà quella follia, ci saranno uomini e donne, bambini e anziani che invece di lavorare, giocare e sognare potranno solo piangere.

Ed è quello che è successo 100 anni fa, quando migliaia di persone, spesso in pianto e anche in preghiera, hanno accompagnato il lento procedere del treno del milite ignoto da Aquileia a Roma. Una modalità questa di celebrare il milite ignoto, quindi, che potremmo definire quella di una grande e corale elaborazione del lutto nazionale. Cento anni fa, tutti gli italiani – ma qualcosa di simile è successo anche in altre nazioni – ha pianto tutti quei giovani morti in guerra (più di 600.000 gli italiani), giovani che solo ufficialmente erano spesso ignoti, ma che invece erano ben conosciuti come figli per tante mamme e papà; padri per tanti piccoli diventati troppo presto orfani; fratelli per tanti uomini e bambini non in età di militare; fratelli, fidanzati, sposi per tante ragazze e tante donne.

Esiste però un terzo modo di celebrare il milite ignoto e lo stiamo facendo con questa celebrazione eucaristica. Ed è quello di ricordare che se è vero che ogni nazione della terra ha i suoi “militi ignoti”, perché purtroppo nessuna è preservata dalla calamità della guerra, per Dio non ci sono persone ignote, ma solo figli (e figlie) da avvolgere comunque con il mantello della sua misericordia: per loro ha mandato suo Figlio a morire sulla croce.

L’Eucaristia è appunto celebrare il sacrificio della croce di Cristo, l’unico sacrificio che può dare senso alla vita di tutti, comunque sia spesa, anche il sacrificio di chi ha lasciato la vita nel fango delle trincee, sui sentieri delle montagne o in mezzo al mare. Dio considera tutti suoi figli, per Lui nessuna vita è priva di senso, è priva di salvezza. E non solo quella degli eroi – o ritenuti tali – e neppure solo dei santi. Gesù è morto per tutti e per riconciliare tutti.

La salvezza è a caro prezzo, ma anzitutto per Lui. La “porta stretta” di cui Lui ci parla nel Vangelo è stata stretta anzitutto per Lui ed è stata la croce. Certo, il Vangelo è esigente, come del resto la vita è esigente per tutti. Ma questo corrisponde alla nostra dignità di figli di Dio, persone quindi chiamati in ogni circostanza, anche difficile e tragica come la guerra, a vivere in fedeltà a questa dignità.

Siamo figli di Dio e questo ci rassicura. Dio non si dimentica di noi, nessuno è ignoto per Lui, ma tutti siamo conosciuti e amati per nome. E per tutti, come ricordava san Paolo nella prima lettura, vale la convinzione che «tutto concorre al bene». Tutti, infatti, siamo chiamati «a essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli».

Con questa convinzione preghiamo oggi per tutti i caduti della prima guerra mondiale, ignoti o no, e anche di tutte le guerre; i caduti della nostra nazione – che spetta in primo luogo a noi doverosamente ricordare – ma anche per quelli di ogni nazione. Che Dio avvolga tutti nella sua misericordia, che la croce di Cristo sia per tutti salvezza. E che lo Spirito di Dio, che – come ricordava sempre san Paolo – sa che cosa è conveniente domandare, ci aiuti a chiedere a Dio per il mondo di oggi la pace, la giustizia, la fratellanza tra i popoli e insegni a ciascuno, secondo le proprie piccole o grandi responsabilità, a trovare le vie concrete affinché tutto ciò si realizzi e non ci siano più uomini e donne, bambine e bambini che debbano piangere i loro cari caduti a causa di guerre, terrorismo, violenze.

Maria, regina della pace, abbia misericordia di noi suoi figli.

+ vescovo Carlo