Perché cantare il Te Deum

Thursday 31 December 2020

La sera di giovedì 31 dicembre 2020 l’arcivescovo ha presieduto la liturgia eucaristica nella chiesa di S.Ignazio pronunciando la seguente omelia. 

Forse capita anche a voi, quando riflettete intensamente su qualcosa, che vi venga in mente un’immagine e magari che questa immagine diventi così forte da sembrare realtà. Così è successo a me questo oggi mentre riflettevo sulla Parola di Dio di stasera e sull’ultimo giorno dell’anno. Mi è sembrato come di trovarmi, anzi di essere insieme con tutti voi, come un pezzo di ferro fra due potenti calamite, attirati contemporaneamente, anche se con intensità diverse, dall’una o dall’altra.

La prima calamita che ci attira tutti con molta forza ha un nome ormai tristemente noto: Covid-19. Sì, è proprio la pandemia che da quasi un anno ci ha bloccato e come una potente calamita è diventata il centro di tutto, convogliando su di sé le nostre emozioni, sensazioni, paure, preoccupazioni, disperazioni, ma anche speranze, previsioni, progetti… E’ impossibile sottrarsi alla sua forza, anche solo decidere che non sia l’unico o almeno il primo argomento delle nostre conversazioni. Quando poi non si sia stati coinvolti da vicino con la malattia o persino la morte dei nostri cari o di nostri conoscenti E, al termine di un anno, viene da domandarsi seriamente se ha senso cantare anche questa sera il Te Deum (ovviamente senza coro e a voce trattenuta per non diffondere eventuali virus…).  

L’altra calamita sembra avere una forza di attrazione meno accentuata, anzi di essere una realtà molto più umile, persino debole e fragile: ed è il Natale, il Bambino che è nato a Betlemme. Anche quest’anno abbiamo celebrato il Natale, nonostante tutto: la pandemia non ce lo ha impedito. E come ogni anno la sua celebrazione dura per diversi giorni per tutto il tempo natalizio fino alla domenica del Battesimo del Signore e in modo del tutto particolare nell’ottava – oggi è il penultimo giorno di essa – che è vista dalla liturgia come un unico grande giorno. Siamo quindi attirati dal Natale e chiamati a non staccarci troppo presto dalla contemplazione del suo mistero. Non è ancora tempo di uscire dal presepio: dobbiamo restarci dentro.

Questo, del resto, è l’invito della Parola di Dio di oggi. Il Vangelo ci porta a Betlemme al seguito dei pastori perché anche noi possiamo vedere il segno che ci è stato dato: un Bambino avvolto in fasce e adagiato in una mangiatoia. E anche noi come i pastori siamo chiamati a glorificare e lodare Dio per ciò che abbiamo visto e udito. Abbiamo visto il Figlio di Dio che è diventato uno di noi. Abbiamo udito una Parola che è un compimento di una promessa, che ci annuncia il nostro diventare figli di Dio ed esserlo per sempre. Lo ha ricordato san Paolo nella seconda lettura di stasera: «Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli». La pienezza del tempo si è realizzata duemila anni fa a Betlemme: da allora la vicenda umana è totalmente cambiata. Non perché siano terminate le guerre, le malattie, i lutti, i peccati, ma perché della nostra storia, con tutto lo spessore della sua concretezza, fa parte per sempre il Figlio di Dio divenuto uomo, il Dio che ormai è per sempre il Dio con noi.

C’è quindi motivo per glorificare, lodare e ringraziare Dio anche stasera, al termine di un anno difficile. Con la convinzione che il Signore non ha smesso, né smetterà di essere il Dio con noi. Anche se a volte sembra addormentato sulla nostra barca travolta dalla tempesta, come in quell’episodio del Vangelo che papa Francesco ha commentato in quella sera di fine marzo in una piazza san Pietro totalmente vuota, bagnata dalla pioggia Siamo figlie e figli di Dio. Nonostante tutto anche quest’anno la benedizione di Dio non ci è mancata. E anche nell’anno che domani inizia non mancherà. Quella benedizione che forma oggetto delle parole di Mosè consegnate al sacerdote Aronne perché benedica il popolo, come ci riporta la prima lettura: «Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace». La benedizione di Dio non è un semplice augurio dato all’esterno della nostra realtà, perché Lui è dentro la nostra realtà, con le sue luci e le sue ombre. Non ci abbandona e ci è vicino qualunque cosa succeda. Dio non è un Padre che abbandona i suoi figli e noi siamo suoi figli.

Se tutto questo è vero, possiamo tornare all’immagine dell’inizio per correggerla. Se ci lasciamo attrarre dal Natale del Signore, non veniamo improvvisamente estraniati dalla pandemia (anche se sarebbe bello e speriamo che sia presto la pandemia a estraniarsi rispetto a noi…), ma scopriamo che la forza della redenzione che Gesù ci ha portato include tutta la nostra realtà, che Egli davvero ci riscatta da ogni male e che alla fine niente è più forte del suo amore e che in Lui tutto può trovare senso.Dobbiamo allora in qualche modo riconciliarci con la situazione che stiamo vivendo, portandola con noi questa sera davanti alla grotta di Betlemme, perché sia salvata da Colui che ha assunto su di sé tutta la nostra umanità, malattie, lutti, sofferenze, peccati compresi.

Vorrei farlo questa sera anche con un gesto a vostro nome, collocando nel presepe questa statuetta che mi hanno donato: un’infermiera con la mascherina. Possiamo metterla nel presepio anzitutto come segno di riconoscenza verso tutti gli operatori sanitari e tante altre persone che anche con molti rischi e talvolta a costo della vita si prodigano per le persone malate.

Vorrei poi che fosse soprattutto segno che il Natale di Cristo non ci estranea dalla dura realtà di oggi, ma ci aiuta a viverla con speranza e soprattutto con amore. Quell’amore che il Bambino Gesù ci rivela e che ci spinge a donare a chi ne ha più bisogno.

Ecco il motivo per cui cantare stasera il Te Deum: ringraziare per l’amore che, nonostante tutto, abbiamo ricevuto e che il Signore ci ha concesso a nostra volta di donare in quest’anno 2020, anno non facile, ma pur sempre, come si diceva una volta, Anno Domini, anno del Signore.        

+ vescovo Carlo