Quaresima: un itinerario per ritrovare la verità di noi stessi

Thursday 2 March 2017

L’omelia pronunciata dal Vescovo Carlo il 1° marzo 2017, Mercoledì delle Ceneri, in Cattedrale

La Parola di Dio di questo inizio di Quaresima ci offre delle precise indicazioni per il nostro itinerario verso la Pasqua. Possiamo cominciare dall’invito della seconda lettura a “lasciarsi riconciliare con Dio” e a cogliere queste settimane che ci condurranno alla settimana santa come “un tempo favorevole”. Notate che Paolo dice: «Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio». La riconciliazione non è un’iniziativa nostra, ma di Dio. Una iniziativa di amore e di misericordia che noi siamo chiamati ad accogliere. La Quaresima, quindi, è anzitutto dono da accettare prima che impegno da attuare. Un’accoglienza che nasce dal riconoscere questi giorni appunto come un tempo favorevole, da non lasciar trascorrere invano: «vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio. Egli dice infatti: “Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso”. Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!».

Sulla stessa linea si pone la prima lettura, tratta dal profeta Gioele. Anche questo brano non è se non un invito, un appello alla conversione, vista come ritorno verso Dio: «Ritornate a me con tutto il cuore […] ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male». Parlare di “ritorno” significa che c’è un luogo che è casa nostra cui tornare, una casa dove c’è un padre che si attende. Quale è questo luogo? La risposta viene dal Vangelo di oggi.

Tre esempi vengono portati da Gesù, a partire da tre pratiche fondamentali per il buon ebreo: l’elemosina, la preghiera e il digiuno. A prima vista sembra che l’insegnamento di Gesù riguardi la necessità di evitare ogni forma di ipocrisia e di ostentazione nel fare l’elemosina, nel pregare, nel digiunare. La descrizione che Gesù fa dell’uso di queste pratiche come occasione di autopromozione è piena di ironia. Bellissimo quel «non suonare la tromba davanti a te» quando vuoi fare l’elemosina: possiamo immaginarci plasticamente un servo di un ricco fariseo che fa il banditore con tanto di tromba davanti al suo padrone pronto a fare platealmente l’elemosina a qualche povero … E possiamo sorridere davanti al tentativo di presentare una faccia malinconica ed emaciata per sottolineare il proprio digiuno: «E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipocriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano» (senza dimenticare che è facile sorridere degli altri o, peggio criticarli e giudicarli, senza accorgerci dei nostri atteggiamenti ipocriti e ridicoli…).

Se è vero che Gesù vuol mettere in guardia dall’ipocrisia, mi pare però che l’insegnamento più profondo dei tre esempi sia indicato nelle parole conclusive di ciascuno di essi: «la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà […] quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà […] quando tu digiuni, profumati la testa e làvati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà». Che cos’è questo “segreto”, questa camera dove c’è il Padre, dove si ottiene la ricompensa? E quale è la ricompensa? Il luogo non è qualcosa di esteriore, una semplice camera, neppure una chiesa o una grotta da eremiti, ma è la nostra coscienza, il nostro intimo. Perché il Padre si trova lì? Perché noi nella nostra verità più profonda siamo figli di Dio: dentro di noi c’è lo Spirito Santo che ci fa gridare verso Dio: “abbà, padre” (cf Gal 4,6).

Sant’Agostino è forse colui che più di tutti ha compreso che quel Dio che cercava fuori di sé, era invece dentro di lui e che la “ricompensa” da raggiungere era ritrovare se stessi. Possiamo ascoltare alcuni suoi pensieri prendendoli dalla presentazione che papa Benedetto ha offerto alcuni fa, nel corso di una delle catechesi dedicate ai padri della Chiesa, della ricerca di Agostino. Diceva il papa ripercorrendo la vicenda di quel grande convertito: «questa vicinanza di Dio all’uomo fu avvertita con straordinaria intensità da Agostino. La presenza di Dio nell’uomo è profonda e nello stesso tempo misteriosa, ma può essere riconosciuta e scoperta nel proprio intimo [..]. Proprio come egli stesso sottolinea, con un’affermazione famosissima, all’inizio delle Confessioni, autobiografia spirituale scritta a lode di Dio: “Ci hai fatti per te e inquieto è il nostro cuore, finché non riposa in te” (I,1,1). La lontananza di Dio equivale allora alla lontananza da se stessi: “Tu infatti – riconosce Agostino (Confessioni, III,6,11) rivolgendosi direttamente a Dio – eri all’interno di me più del mio intimo e più in alto della mia parte più alta” [..]; tanto che – aggiunge in un altro passo ricordando il tempo antecedente la conversione – “tu eri davanti a me; e io invece mi ero allontanato da me stesso, e non mi ritrovavo; e ancora meno ritrovavo te” (Confessioni V,2,2)». Papa Benedetto concludeva così la presentazione dell’esperienza di Agostino: «Questo è importante: un uomo che è lontano da Dio è anche lontano da sé, alienato da se stesso, e può ritrovare se stesso solo incontrandosi con Dio. Così arriva anche a sé, al suo vero io, alla sua vera identità» (Papa Benedetto XVI, Udienza generale, mercoledì 30 gennaio 2008).

Abbiamo così scoperto dove ritornare: dentro di noi, nel nostro intimo perché lì c’è Dio e ci siamo anche noi. Vorrei pertanto che vedessimo la Quaresima come questo viaggio nel nostro intimo, un viaggio guidato dallo Spirito, per ritrovare noi stessi come figli, mentre incontriamo il Padre. Un viaggio non facile, soprattutto per due motivi. Uno più esterno: ci vuole, infatti, un certo “digiuno” dalle chiacchiere, dai suoni,  dalle emozioni, dalle fantasie, dai pensieri inutili, dalle distrazioni continue (anche molto concrete e tecnologiche: smartphone, telefonino, radio, televisione, ecc.), altrimenti non si può scendere in profondità. Avremo il coraggio in questa Quaresima, ogni giorno, di qualche momento di silenzio? Ma c’è un altro motivo: tutti abbiamo paura di vedere il nostro vero volto, abbiamo paura di spaventarci di noi stessi, abbiamo paura di ritrovarci soli, abbiamo paura di una luce troppo forte che impietosamente mostri le rughe e le ferite del nostro animo, abbiamo paura di togliere finalmente il pesante trucco di convenzioni e di sicurezze che copre il nostro animo. Meglio far finta di niente, meglio non vedere… Ma ci sbagliamo: dentro di noi non siamo soli, c’è il Signore. Lui non è un giudice impietoso che strappa le nostre maschere, ma un Padre che ci ama e ci fa ritrovare con grande gioia la verità di noi stessi.

Auguro a tutti che questa sia la “ricompensa” promessa dal Vangelo per il nostro cammino quaresimale.    

† Vescovo Carlo