Stiamo assumendo un impegno o stiamo accogliendo un dono?

Sunday 10 March 2019

Domenica 10 marzo, nella chiesa di San Valeriano a Gradisca d’Isonzo, il vescovo Carlo ha presieduto la liturgia con la consegna del mandato ai Gruppi della Parola presenti in diocesi.

C’è una domanda che dobbiamo farci tutti in questo momento: stiamo assumendo un impegno o stiamo accogliendo un dono? Posta così la questione pare inevitabile ritenere che siagiusto rispondere con la seconda ipotesi: stiamo accogliendo un dono. Ma lo pensiamo davvero? Ne siamo convinti? Perché, vedete, la riuscita e la continuità nel tempo dei Gruppi della Parola che oggi ufficialmente avviamo, non dipendono e non dipenderanno anzitutto dall’impegno di ogni gruppo, dalla costanza delle persone, dalla bravura degli animatori, dalla preparazione di chi offrirà i vari sussidi e neppure dallo sforzo e dalle energie che la diocesi ci metterà. Sarà invece decisiva la convinzione che a noi è consegnato un dono immeritato e che altre generazioni cristiane prima di noi hanno avuto in termini molto più ridotti e limitati: il dono della Parola di Dio.

Una Parola anzitutto contenuta nella Scrittura che ci viene offerta con abbondanza nella liturgia, ma anche nella catechesi, dalla teologia, dall’esegesi, dal magistero. Una Parola che per certi aspetti non ha segreti e che può essere accostata da tutti, con un minimo di preparazione culturale, grazie all’immenso lavoro di tanti studiosi. Una Parola, sempre quella della Scrittura, che porta con sé – ed è un ulteriore dono nel dono l’arricchimento della preghiera, della meditazione, della vita del popolo di Dio del Primo Testamento e poi di generazioni e generazioni cristiane nel corso dei secoli della vita della Chiesa. Un arricchimento – non dobbiamo dimenticarlo – che credenti e anche non credenti hanno ulteriormente amplificato attraverso la letteratura, l’arte, la cultura e ancora un volta la vita. Una Parola, poi, che non si limita alla Scrittura, ma che, grazie all’azione dello Spirito e alla luce offerta dalla stessa Scrittura, è dentro la vita e la storia della Chiesa e dell’intera umanità. Perché la Parola è il Verbo di Dio, è Cristo Parola vivente e definitiva, che si rivela a noi nella Scrittura e nella storia.

Questo è il dono che oggi ci viene affidato. Niente di meno. La meraviglia, la lode, il ringraziamento dovrebbero essere allora i sentimenti oggi prevalenti, prima ancora che la trepidazione, l’incertezza, la preoccupazione per qualcosa che inizia, affidato alle nostre deboli forze. Perché è vero, la Parola è un tesoro – per usare le espressioni di Paolo nella seconda lettera ai Corinti – che ci è donato in vasi di creta. Ma l’apostolo spiega anche perché è così: «Noi però abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi» (2Cor 4,7). Appunto, la Parola non è un nostro possesso, non è legata alla nostra capacità, ma è un dono che vive in noi grazie alla straordinaria potenza di Dio.

Un dono che non è solo per noi. Se ti è stato dato di scoprire la sorgente, come fai a tenerla nascosta in un mondo di assetati? E’ facile rispondere con un’obiezione: sarà pure il nostro un mondo di assetati, ma i più oggi non solo non sanno dov’è la sorgente, ma non sanno neppure di essere assetati. Vivono magari un disagio profondo, sotterraneo, nascosto, ma non ne sono consapevoli e non sono capaci neppure di dargli un nome.

Che cosa fare? La sete non possiamo darla noi. Ma chi ha suscitato in noi la sete della Parola che oggi ci ha portato qui? Provate a rispondere con sincerità. Forse un qualcosa imparato da piccoli, magari l’invito di un amico, può darsi una frase ascoltata in chiesa, persino un evento occasionale… Eppure siamo qui. E questo ci dà la certezza che c’è Qualcuno, non noi, che sa suscitare la sete. A noi spetta invocarlo, affinché accenda in noi e negli altri la sete profonda di verità, di senso, di bellezza.

A noi tocca poi essere attenti e disponibili, lì sul ciglio della strada della vita con un bicchiere in mano, pronti a dare acqua a chi ce la chiede o solo la implora silenziosamente con uno sguardo. O anche, al momento giusto, essere capaci di proporla a chi vediamo disponibile ad accoglierla.

Sapranno i nostri gruppi essere attenti e aperti agli altri, sapranno essere capaci di invitare altre persone, riusciranno a far crescere le comunità in cui sono inseriti nell’ascolto e nell’accoglienza della Parola? Sapremo, ciascuno di noi, nutrirci quotidianamente della Parola di Dio in modo che il nostro sentire, il nostro pensare, il nostro agire, il nostro amare sia sempre più il sentire, pensare, agire, amare di Cristo? Lo stiamo chiedendo ora con semplicità e umiltà. Con grande fiducia nella potenza dello Spirito Santo e nella forza della Parola, che non ritorna «senza aver compiuto ciò per cui Dio l’ha mandata», come ci ha proclamato il profeta.

Sempre il profeta in un altro passo ha detto: «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza» (Isaia 52,7). Un passo che l’apostolo Paolo nella lettera ai Romani ha ripreso riferendolo al Vangelo: «come sono belli i piedi degli evangelizzatori del bene» (Rm 10,15). Guardando a voi, mi viene da affermare con gioia, non tanto quanto sono belli i vostri piedi, ma le vostre mani cui oggi viene consegnata la Scrittura, la vostra bocca che la proclamerà, la vostra mente che la mediterà, il vostro cuore che l’accoglierà, la vostra vita che – anche con i piedi che vi porteranno agli altri – la testimonierà.

Grazie e buon lavoro.

+ vescovo Carlo