Seppellire i morti
Il senso attuale di una delle opere della misericordia

Nei giorni dedicati tradizionalmente al ricordo dei fedeli defunti, l’arcivescovo Carlo ha rivolto un messaggio alle comunità della diocesi richiamando, nell’imminenza dell’avvio dell’Anno santo straordinario della misericordia, il senso di una delle opere di misericordia: seppellire i morti.

L’inizio dell’anno santo straordinario della misericordia è ormai vicino. Un’occasione per riscoprire il centro del messaggio evangelico, che è la misericordia del Padre manifestatasi in Gesù, il Figlio di Dio che si è rivestito delle nostre debolezze, è venuto a curare i malati e non i sani, a perdonare ai peccatori. Sperimentare la misericordia del Padre porta a essere a nostra volta misericordiosi. «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso (Lc 6,36). Un modo concreto per vivere la misericordia è ascoltare l’appello di papa Francesco contenuto nel documento con cui ha indetto il giubileo: «Riscopriamo le opere di misericordia corporale: dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i forestieri, assistere gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i morti. E non dimentichiamo le opere di misericordia spirituale: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti».

Un’opera di misericordia che oggi è urgente riscoprire è quella di “seppellire i morti”. Un’azione che sembrava ovvia e scontata fin dagli albori della civiltà. Sappiamo anzi che il ritrovamento di sepolture risalenti a tantissimi anni fa testimonia che si è in presenza di resti di appartenenti alla specie umana e a un seppur iniziale livello di civiltà. Anche oggi in generale c’è attenzione a seppellire i morti: persino nel caso di disgrazie devastanti o di delitti, la ricerca e il recupero del corpo delle persone morte, anche a fronte dell’impiego di significative risorse in uomini e mezzi, viene vista come qualcosa di doveroso, non solo verso le persone decedute, ma anche verso i loro familiari, un atto di pietà cui la società non può facilmente rinunciare. Il diffondersi, però, della pratica della cremazione con la possibilità anche legale di conservare le ceneri in luoghi privati (nelle case) o, a certe condizioni, di disperderle in natura, sta mettendo in crisi la tradizione della sepoltura. Ciò può lasciare indifferenti da un punto di vista cristiano? Certamente no. Già a livello umano, si ricordava, la pratica di seppellire i morti è sempre stata segno di civiltà. Tale prassi implica infatti, più o meno consapevolmente, tre valori di grande significato: il rispetto della dignità della persona che comprende anche la cura dei suoi resti mortali (da sottrarre agli animali o alla possibile profanazione da parte di nemici o di malintenzionati), la convinzione che in qualche modo ci sia una continuità della vita anche dopo la morte, la consapevolezza che il defunto non esca dalla comunità umana.

Questi tre aspetti positivi hanno ottenuto nella visione cristiana nuova luce e nuovo significato. Intanto non bisogna dimenticare che anche Gesù è stato sepolto. Anzi, stando ai racconti evangelici, il suo corpo è stato oggetto di particolare cura, pur essendo il corpo di un condannato, di un “maledetto”: Giuseppe di Arimatea che lo chiede a Pilato e mette a disposizione della sepoltura di Gesù il suo sepolcro nuovo; lo stesso Giuseppe che con Nicodemo provvede alla sepoltura; le donne che, trascorso il sabato, si recano al sepolcro con aromi per completare la sepoltura. Il mattino di Pasqua cambia però tutto. Le donne trovano il sepolcro vuoto e incontrano poi il Risorto che le manda ad annunciare che Lui ha vinto la morte, che Lui, il Crocifisso, è risorto. La pasqua apre così un significato nuovo alla sepoltura, che diventa non più solo un gesto di pietà, ma un segno di speranza nella risurrezione.

Già le prime sepolture cristiane lo testimoniano. Quando studiavo a Roma mi ero iscritto a un corso di introduzione alla archeologia cristiana. Visitando diverse catacombe, anche quelle di solito non aperte al pubblico, mi avevano colpito le semplici espressioni segnate sulle lastre che chiudono i loculi: “vivi in Cristo”, “vivi nel Signore Gesù”, “hai creduto in Dio, vivrai in Cristo”, vivi nello Spirito Santo”, ecc. Splendide testimonianze della consapevolezza della vita in Cristo e dell’attesa della risurrezione.

Consapevolezza che l’intera comunità cristiana deve vivere, sapendo che chi è morto non si estrania da essa: continua, infatti, nel Signore una reale comunione tra tutti gli appartenenti alla Chiesa, vivi e defunti. Chi è vivo prega per la salvezza del defunto, ma confida anche nella preghiera di chi è ora presso il Signore, non solo dei martiri e dei santi, ma anche dei propri cari e conoscenti che spera beati nel Signore.

La relazione nella comunità cristiana tra i vivi e i morti era significata, fino all’epoca napoleonica, dalla presenza delle sepolture nel luogo più importante per la comunità: la chiesa. I defunti erano sepolti a volte sotto il pavimento o lungo le pareti, più spesso attorno all’edificio sacro. Quando i cimiteri, soprattutto nelle città, si sono allontanati dalla chiesa si è in parte perso il segno della forte relazione tra la comunità dei vivi e quella dei defunti. E’ rimasta però la possibilità, mentre si va a pregare per i propri cari, di riconoscere, ricordare e quindi pregare per altri parenti, amici, colleghi di lavoro o semplicemente compaesani conosciuti e che ora dormono nel Signore.

Ora tutto ciò rischia di perdersi con la pratica della cremazione e della possibile conservazione delle ceneri in casa o della loro dispersione. Va tenuto presente che dal 1963 la Chiesa non è più contraria alla cremazione (salvo sia scelta, come successo per decenni, come segno contrario alla fede) anche se preferisce, come realtà più espressiva della fede cristiana, la sepoltura dei corpi dei defunti. Ma le ceneri vanno poi collocate in cimitero. Conservarle invece in casa – al di là di problemi pratici che potrebbero sorgere in futuro – o disperderle in natura, compromette il valore della comunione anche in qualche modo visibile tra vivi e defunti. Il ricordo tangibile del defunto viene infatti “privatizzato”, se non addirittura eliminato, e risulta impossibile la preghiera davanti ai suoi resti a opera di chi fa parte della sua comunità. Per questo, al di là delle intenzioni, è una pratica da scoraggiare.

Manteniamo allora la sepoltura nel cimitero, vediamolo come luogo del riposo in Cristo e nella Chiesa di chi attende la risurrezione, consideriamolo una realtà che indica in un modo molto simbolico la comunione tra la comunità cristiana dei vivi e quella dei defunti. Andiamo in questi giorni a pregare sulle tombe dei nostri cari e di tutti coloro che nella nostra comunità hanno con noi pregato, amato, servito il Signore e i fratelli e hanno vissuto la loro avventura umana e di fede. Sia l’occasione per rinnovare in noi la fede nella risurrezione, per pregare per i nostri cari e per confidare nella loro preghiera. Nell’attesa di ritrovarci un giorno tutti insieme nel Signore, cittadini della città santa, uomini e donne viventi nel Signore nella terra e nei cieli nuovi dove abita la giustizia (2Pt 3,13).

† Vescovo Carlo

01-11-2015