Due sguardi
L’intervento dell’arcivescovo Carlo alla Notte Caritas
13-12-2014

Come credenti siamo immersi nel Vangelo, che è la nostra casa. Dobbiamo ascoltarlo, leggerlo e rileggerlo: lo troveremo sempre nuovo. Ci sono tanti modi per accostarsi al Vangelo, vorrei suggerirne uno: quello di tralasciare i discorsi e anche le varie narrazioni e di soffermarsi, invece, sugli incontri di Gesù con le persone. Questo approccio ci costringerà a uscire dai nostri schemi un po’ pigri nel leggere il Vangelo ed a evitare le ripetizioni di una certa retorica ecclesiale. Gesù, infatti, incontra le persone sempre in modo nuovo, diverso e, spesso, imprevedibile. Non dice a tutti le stesse cose, non fa a tutti le stesse proposte. Per esempio, non chiama tutti a seguirlo, anzi, qualcuno lo rinvia esplicitamente a casa sua (cf Lc 8,38-39): non tutti sono chiamati a essere discepoli in senso proprio. Ci sono, però, alcuni elementi ricorrenti negli incontri evangeli. Anzitutto Gesù tratta ciascuno come persona nella sua individualità: nessuno è “in serie” per Lui. Vede poi ciascuno nella sua verità profonda, a volte – anzi quasi sempre – sconosciuta allo stesso interessato. Una verità che in parte è simile per tutti, per ogni uomo e ogni donna, ed è il fatto di essere stati creati a immagine e somiglianza di Dio (cf Gn 1,26-27), ma in parte è del tutto originale: non esiste un figlio o una figlia di Dio uguali ad un altro. Gesù poi vede la persona che ha davanti sempre con uno sguardo d’amore, un amore che promuove, perché svelando alla persona la sua verità di figlio del Dio amore, la rende capace a sua volta di amare con la sua originalità. L’essere guardati con amore e resi capaci d’amore è ciò che rende beati: chi incontra Gesù e si lascia guardare con amore, diventa pieno di gioia. Un ultimo elemento che caratterizza gli incontri di Gesù è la preponderanza in essi degli sguardi e dei gesti rispetto alla parola. Gesù usa poche parole, quelle che bastano per far intuire il senso dell’incontro. Gli elementi indicati si ritrovano tutti nell’incontro con Zaccheo, che abbiamo appena ascoltato (Lc 19,1-10). Possiamo notare i vari passaggi. Anzitutto è un incontro che si realizza perché si intersecano due ricerche, due sguardi: Zaccheo che sale sulla pianta per vedere Gesù, Gesù che alzando gli occhi lo scorge dal basso. Lo sguardo di Zaccheo è guidato dalla curiosità, ma al di sotto di essa c’è una ricerca, forse inconsapevole, di verità e di accoglienza. Quello di Gesù è uno sguardo di amore, di Colui che cerca chi è perduto. Si tratta di un sguardo “dal basso”, non dall’alto. Non è un puro caso dovuto al fatto che Zaccheo è sulla pianta e Gesù vi passa sotto: Gesù non ci guarda dall’alto, ma dal basso perché è lì, accovacciato ai nostri piedi, per lavarli come servo (cf Gv 13). Gesù poi accoglie Zaccheo facendosi accogliere da lui. Trasforma Zaccheo da destinatario della sua accoglienza a protagonista. Questo lo cambia profondamente: non è più la persona da temere o da tenere lontano con una punta di disprezzo, ma diventa colui che accoglie. Gesù viene incontro a chi ha bisogno d’amore, diventando Lui mendicante del nostro amore.

Zaccheo trova così la sua verità. Quest’uomo viene definito in tre modi diversi nei pochi versetti del brano evangelico: “capo dei pubblicani e ricco” : è la sua faccia presentabile, ciò per cui è temuto e rispettato; “un peccatore”: è quello che, senza troppi giri di parole, la gente pensa di lui; “figlio di Abramo” : è la definizione che Gesù dà di Zaccheo: figlio di Abramo, cioè parte del popolo eletto, figlio di Dio. Questa è la verità profonda di Zaccheo: scoprirla lo trasforma radicalmente. Gesù non ha bisogno di rimproverarlo, né lo vuole: Zaccheo capisce da solo: la grazia di essere amato, di essere accolto mentre accoglie, e la gioia che prova, bastano a cambiargli vita. Un cambiamento che si allarga a tutta la comunità, comprende le persone frodate da Zaccheo, ma anche i poveri. Le decisioni di colui che era una peccatore e che sfruttava gli altri approfittando del suo ruolo sociale, coinvolgendo altri, mettono sicuramente in moto una catena di bene. Non ci sono solo le catene di male, perché anche il bene è contagioso. La gente non capisce, “mormora”, non esce dai propri schemi e pregiudizi, vede solo la verità esteriore di Zaccheo e anche quella di Gesù: un Messia che non si fa scrupolo di violare la legge entrando nella casa di un peccatore. Questa non comprensione non ha però la capacità di bloccare Gesù e neppure Zaccheo: la gioia è troppo grande e senz’altro convertirà molti dei vicini che all’inizio erano scettici.

C’è un ultimo elemento da sottolineare ed è il fatto che Gesù, accogliendo e venendo accolto, scopre non solo la verità di Zaccheo, ma anche la sua verità, la sua missione di colui che «infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

Alla luce dell’incontro tra Gesù e Zaccheo è facile trarre alcune conseguenze per noi. Anche noi siamo chiamati ad accogliere sempre l’altro come persona, nella sua individualità, con i suoi doni e i suoi limiti, persino con i suoi peccati. E possiamo scoprirne la verità profonda, al di là delle apparenze e dei giudizi superficiali, se lo guardiamo con amore, “dal basso”, servendolo. Accogliendo l’altro, viene svelata a noi stessi anche la nostra verità, quella di persone che accolgono perché sono loro stesse accolte: dall’amore di Dio, ma anche dall’amore dell’altro che ci sta davanti, perché l’accoglienza è sempre reciproca. Non sempre – occorre essere realistici – tutto ciò si manifesta. Ma la grazia di Dio è comunque al lavoro nel cuore di ciascuno. A noi spetta accogliere e essere accolti. Nella gioia.

† Vescovo Carlo