Il Seminatore ancora oggi "spreca" la sua Parola
L’intervento dell’Arcivescovo alla Veglia missionaria diocesana tenutasi a S. Andrea di Gorizia
18-10-2013

La parabola che abbiamo appena ascoltato è conosciuta come la parabola “del seminatore”, senza aggettivo, diversamente, ad esempio, da quella del “buon pastore” o del “buon samaritano” o del “figlio prodigo”, ecc.

Se dovessimo però aggiungere un aggettivo, verrebbe spontaneo qualificarla come quella del seminatore “sprecone” o “maldestro”.

Anche chi di noi – come me – non si intende di agricoltura, resta meravigliato dall’agire di questo seminatore, che getta del seme, buono e prezioso, sulla strada, sulla pietra, tra i rovi e solo alla fine aggiusta la mira e arriva al terreno buono…

Non poteva evitare di buttarlo sulla strada? O aveva il sacco bucato? E le pietre, non era il caso – certo con un po’ di impegno e di sudore… – di sgombrare prima il terreno e di ararlo. E i rovi, non poteva forse bruciarli o estirparli?

Una parabola, quindi, che lascia sconcertati. Tant’è vero che la prima interpretazione, che l’evangelista mette sulla bocca dello stesso Gesù, sposta l’attenzione dal seme sparso dal seminatore, inteso come la Parola di Dio, ai diversi tipi di semi caduti suivari terreni, che rappresentano gli ascoltatori della Parola e che – tranne gli ultimi, quelli cioè simboleggiati dai semi che cadono nel terreno buono – hanno tutti atteggiamenti che portano il seme/Parola all’insuccesso.

Se si nota poi come si interpreta normalmente la parabola nelle omelie e nelle catechesi, ci si rende conto che non si parla neppure più del seme o dei semi, ma solo dei terreni.

Lasciamo perdere, però, queste interpretazioni – pure legittime – perché assecondano la tendenza che ci è spontanea di riferire il Vangelo a noi, a ciò che siamo o non siamo, a ciò che facciamo o non facciamo, a ciò che diciamo o non diciamo.

Le lasciamo perdere perché il Vangelo non è anzitutto manifestazione di quello che siamo o dovremmo essere, ma è rivelazione di Gesù, ci parla prima di tutto di Lui e dobbiamo resistere alla tentazione di domandarci di fronte a qualsiasi pagina del Vangelo: che cosa devo fare?

Niente, anzitutto. Comincia ad ascoltare, a contemplare, a lasciare che venga messa in crisi la tua immagine di Gesù e di Dio e il resto viene poi…

La stessa cosa – sia detta per inciso – deve essere affermata a proposito degli Atti degli Apostoli, di cui stasera abbiamo ascoltato diversi brani.

Anche in questo caso non dobbiamo per prima cosa preoccuparci di che cosa fare o non fare come Chiesa, ma innanzitutto di contemplare l’azione dello Spirito nella prima comunità cristiana, per imparare a discernere la sua presenza nelle nostre comunità e perché venga messa in crisi la nostra immagine di Chiesa. Il senso della lettera pastorale “Chi è la Chiesa” è tutto qui.

Ma torniamo al nostro seminatore “sprecone”, “sciupone” o “maldestro”.

Perché questa abbondanza di Parola? Ma potremmo chiederci, perché questa abbondanza di misericordia? E alla fine, perché questa abbondanza di amore? Perché si tratta di amore!

Uno spreco…, ma l’autore dello spreco è lo stesso Creatore dell’universo.

Quante sono le stelle del cielo? Dio aveva sfidato Abramo a contarle, ma per promettergli una discendenza: «”Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle”; e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza”. Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia» (Gn 15, 5-6). Quel Dio che, come afferma il salmo 147: «conta il numero delle stelle e chiama ciascuna per nome».

Gli astronomi si dividono tra chi sostiene che ci sono cento miliardi di galassie, ciascuna con cento miliardi di stelle e chi aumenta il numero delle stelle fino a essere impronunciabile: 3 seguito da 23 zeri. E se fossimo gli unici esseri intelligenti dell’universo, pensate che spreco…

Dice un altro salmo, il salmo 8: «Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato, che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?».

Eppure Dio si ricorda di noi, ama ciascuno come se fosse unico, lo ama fino allo spreco. Che cosa è allora la missione, se non partecipare a questo spreco d’amore? Se non annunciare a tutti, anzitutto con la testimonianza della vita, che siamo tutti amati dal Signore, tutti chiamati a salvezza, tutti…

Un Signore che non si accontenta del 99% di successo – le 99 pecore tranquille nell’ovile, per citare un’altra parabola… -, ma va a cercare l’ultima pecora perduta e non è contento finché non la ritrova e non la riporta a casa.

Il Signore vuole salvare tutti: anche Giuda? Sì, anche Giuda. Anche gli assassini? Sì, anche gli assassini. Anche i terroristi? Sì, anche i terroristi. Anche i criminali di guerra? Sì, anche i criminali di guerra.

Anche me? Sì anch’io, anche noi che forse non siamo Giuda, né terroristi, né assassini, né criminali solo perché il Signore ci ha preservato dalle tentazioni e dalle occasioni di esserlo, ma che dentro abbiamo tutte, proprie tutte, le radici di peccato. Questo è Vangelo e dobbiamo annunciarlo e testimoniarlo come e dove possiamo, come e dove lo Spirito ci spinge.

Ma…, e i risultati?

Che cosa ti importa dei risultati? Tu va’ e annuncia. Lo ha detto Gesù all’indemoniato guarito: «Va’ nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te» (Mc 5, 19).

Annuncia la misericordia, annuncia l’amore che ti è stato donato,… non annunciare verità astratte, concetti filosofici, precetti morali, … serviranno anche quelli, ma anzitutto annuncia la “buona notizia” andandotene per città e villaggi, come Gesù con i Dodici e le donne.

Non preoccuparti innanzitutto di raccogliere offerte, di mandare soldi, di costruire scuole e chiese,… Saranno utili anche queste cose, ma solo se non oscurano lo splendore del Vangelo e se non diventano un alibi per te, per noi, per sentirci a posto con la missione.

Dico una cosa paradossale: se noi di Gorizia da domani non mandassimo più un euro alle missioni, ma stasera tre preti decidessero di partire “fidei donum”, cinque giovani si orientassero seriamente a diventare missionari, sei ragazze volessero fare le missionarie, alcune famiglie fossero disposte ad andare per un paio d’anni in missione, alcuni diaconi si mettessero a disposizione, alcuni laici e laiche, giovani e meno giovani, fossero orientati a partire, … saremmo la diocesi più missionaria del mondo… e la più felice.

E la gioia sarebbe altrettanta, se ci mettessimo tutti in gioco, se lasciassimo spazio allo Spirito, che con il suo fuoco ci facesse ardere il cuore di passione per il Signore e per il suo Vangelo, con il suo vento scompigliasse un po’ i nostri piani e le nostre pigrizie e ci buttasse sulle strade delle città e dei paesi, con la sua sapienza ci facesse discernere le vie per essere una Chiesa più evangelica …

Sogni? Spreco di parole e di buone intenzioni? Ma il seminatore ancora oggi spreca la sua Parola. E, come ha detto il Signore per bocca del profeta Isaia, non sarà senza risultato: «Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (Isaia 55,10-11). Così sia.

† Vescovo Carlo