"Il valore della tradizione. Il ruolo della mediazione. Dialogo su La sapienza trasmessa"
Il saluto dell'Arcivescovo all’incontro organizzato dall'Arcidiocesi di Gorizia e dall'Istituto Jacques Maritain al Kulturni Center Bratuž di Gorizia
28-05-2015

È con molto piacere che saluto il prof. Gorazd Kocijančič, il prof. Giovanni Grandi e la Prof. Francesca Zaccaron che modera questo incontro e tutti coloro che questa sera hanno preso la decisione di partecipare a questo dialogo, una decisione che sarà sicuramente ripagata dalla ricchezza di quanto ascolteremo.

Riflettere e confrontarsi a partire da un volume è sempre qualcosa di importante perché aiuta a entrare in dialogo con il mondo interiore di ciascuno di noi e non solo di chi si è assunto la fatica di scrivere, convinto di avere qualcosa di importante da comunicare ai lettori.

La presenza dell’Autore del libro manifesta l’intento non semplicemente di presentare un’opera, ma di partire da essa per proseguire un cammino anche su vie inesplorate.

Un libro, come del resto un’opera d’arte, vive di luce propria e in un certo senso non ha più bisogno del suo autore, ma viene affidato a chi ha deciso di usufruirne. E’ quest’ultimo che leggendo ne diventa in qualche modo l’autore. Un autore non può quindi presentare un proprio libro, perché non potrebbe aggiungere nulla a quanto ha scritto – sempre che lo abbia fatto in verità – o in realtà parlerebbe d’altro.

Un libro, come un’opera d’arte, ha tanto più valore – a mio avviso – quanto più schiude nel cuore e nella mente di chi vi si accosta sensazioni, emozioni, risonanze, intuizioni, idee che fino ad allora erano sconosciute o non erano presenti nel profondo della persona con quella forza e completezza che la lettura del libro o la contemplazione dell’opera rendono possibili. Cerco di spiegare con un’immagine ciò che intendo dire. Uno dei pittori che amo di più è il Beato Angelico, beato anche per la Chiesa: così ha deciso papa Giovanni Paolo per altro adeguandosi all’infallibile “sensus sanctitatis” che il popolo di Dio ha la grazia di avere.

C’è un suo affresco, forse il migliore e il più riprodotto, che presenta l’annunciazione alla Vergine e che ti si schiude davanti salendo le scale all’interno del convento di San Marco a Firenze.

Ciò che mi ha sempre colpito in quell’opera non è stato tanto il volto incredibilmente soave della Vergine o le ali coloratissime dell’angelo, ma una finestrella collocata sul muro dietro i loro volti che si apre sul mistero di un giardino.

Un giardino che per sé è già visibile sulla sinistra del dipinto, ma non è lo stesso di quello intravisto attraverso quella finestrella. Essa, elemento in apparenza inutile nel contesto compositivo dell’affresco, è ciò che invece indica a chi contempla l’opera dell’Angelico la necessità di andare oltre e di immergersi nel mistero dischiuso dall’annunciazione.

Quel giardino che si intravede dalla finestrella è infatti, insieme, il giardino primordiale dell’Eden, l’hortus conclusus del Cantico, la città-giardino dell’Apocalisse. Attraverso l’annuncio dell’angelo a Maria, il giardino del peccato viene riaperto, l’avventura d’amore tra il Dio amante e l’umanità amata riprende, il compimento delle nozze tra l’Agnello e la Sposa viene intravisto come meta sperata. Ecco la potenza di una finestrella…

Che cosa allora ho intravisto leggendo “La Sapienza Trasmessa”? Due cose: un paio di sandali e alcune semplici realtà di ogni giorno.

Anzitutto i sandali: quelli che la voce dal roveto ha chiesto a Mosè di togliere lì, sull’Oreb, mentre pascolava il gregge di Ietro (cf Es 3,5). Togliersi i sandali: forse il gesto più apofatico che l’uomo può fare. E che non solo il filosofo, ma anche il teologo e ogni credente deve compiere proprio in questa cultura e forse anche in questa Chiesa dove Dio non c’è più o è diventato – parlo per la Chiesa – qualcosa di già capito, già compreso, da mettere via, in tasca…

Le semplici realtà di ogni giorno cui la lettura del libro mi ha fatto pensare sono invece acqua, pane, vino, olio. Sì, avete indovinato, sono proprio quella che è chiamata la materia dei sacramenti. Una materia che diventa rivelazione e presenza del mistero.

Perché il Signore ha scelto cose così semplici e quotidiane per rivelarsi e donarsi? Penso per due motivi. Anzitutto perché fosse evitato il pericolo che diventassero idoli: si può adorare una statua d’oro e non certo una fetta di pane, un bicchiere d’acqua o qualche goccia d’olio profumato. Il mistero che si rivela ed entra in comunione con noi, vuole restare mistero – al di là dell’aldilà – nella paradossale sua estrema vicinanza.

Ma acqua, pane, vino, olio sono stati scelti anche perché imparassimo a considerare le cose più semplici, più umane come sua rivelazione. Ciò è in continuità con il mistero dell’incarnazione.

Pensare che nella Trinità, nel mistero assoluto e indicibile del Dio trinitario ci sia per sempre l’umanità crocifissa del Cristo – e come non andare con la mente alla Trinità di Masaccio a Santa Maria Novella a Firenze – è qualcosa che supera ogni nostra immaginazione, ogni nostro più ardito desiderio.

E, a proposito di desiderio, come non aspirare al compimento quando il volto dell’Inconoscibile ci sarà svelato, quando, come dice Paolo nella prima lettera ai Corinti, «vedremo faccia a faccia» e «conosceremo perfettamente come anche noi siamo conosciuti» (1Cor 13,12). Quando, soprattutto, come afferma il profeta Isaia, «il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto» (Is 25,8) e il Signore – sì, proprio Lui -, «si stringerà le vesti ai fianchi, ci farà mettere a tavola e passerà a servirci» (Lc 12,37) non senza bere con noi, come ci ha promesso (cf Lc 22,18), il vino nuovo, quello del suo amore.

Ci verrà allora rivelata la vera sapienza, quella «che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo» (1Cor 2,6), ma che è il Cristo, che «per noi è diventato sapienza per opera di Dio» (1Cor 2,30).

Quella sapienza i cui riflessi hanno cercato e intuito schiere di teologi, filosofi, mistici, uomini e donne di fede, molti dei quali il libro del prof. Kocijančič ci presenta (a dir la verità, senza però – se non sbaglio – accennare alle donne… ed è l’unico appunto che mi permetto di fare al suo splendido lavoro) e di questo lo ringrazio di cuore.

† Vescovo Carlo