Le conclusioni dell'Arcivescovo all'Assemblea pastorale 2014
L'intervento di mons. Redaelli nella giornata conclusiva dell'Assemblea pastorale 2014 che si è tenuta presso la parrocchia dei Santi Nicolò e Paolo a Monfalcone
18-06-2014

«Rendiamo sempre grazie a Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere e tenendo continuamente presenti l’operosità della vostra fede, la fatica della vostra carità e la fermezza della vostra speranza nel Signore nostro Gesù Cristo, davanti a Dio e Padre nostro. Sappiamo bene, fratelli amati da Dio, che siete stati scelti da lui. Il nostro Vangelo, infatti, non si diffuse fra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con la potenza dello Spirito Santo e con profonda convinzione: ben sapete come ci siamo comportati in mezzo a voi per il vostro bene. E voi avete seguito il nostro esempio e quello del Signore, avendo accolto la Parola in mezzo a grandi prove, con la gioia dello Spirito Santo» (1 Tessalonicesi 1,2-6).

«Rendo grazie al mio Dio ogni volta che mi ricordo di voi. Sempre, quando prego per tutti voi, lo faccio con gioia a motivo della vostra cooperazione per il Vangelo, dal primo giorno fino al presente. Sono persuaso che colui il quale ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù» (Filippesi 1,3-6).

Preparando questo mio intervento cercavo nella Parola di Dio un brano che interpretasse i miei sentimenti e soprattutto il nostro ritrovarci in queste tre sere. Ho individuato i due passi che vi ho letto: sono, rispettivamente, l’inizio della prima lettera ai Tessalonicesi e della lettera ai Filippesi.

Sento di dovere fare mio il ringraziamento di Paolo per «l’operosità della vostra fede, la fatica della vostra carità e la fermezza della vostra speranza nel Signore nostro Gesù Cristo, davanti a Dio e Padre nostro»: fede, speranza e carità che animano e sostengono la vita delle nostre comunità anche negli aspetti più semplici e quotidiani; fede, speranza e carità che emergono dagli “atti delle comunità” come l’intelaiatura su cui sono costruite le nostre parrocchie e le nostre aggregazioni; fede, speranza e carità che sono evidenti in voi e nel lavoro comune di questi giorni.

Ancora, sono convinto con san Paolo che lo Spirito Santo è realmente all’opera nella nostra Chiesa. Devo confessare che tante volte – nella mia poca fede – ne resto sorpreso e consolato. Davvero il Vangelo è presente tra noi «non soltanto per mezzo della Parola, ma anche con la potenza dello Spirito Santo e con profonda convinzione».

Una presenza dello Spirito Santo che sta diventando sempre più portatrice di gioia, facendoci superare a poco a poco i nostri ripiegamenti, i nostri malumori, le nostre lamentele. Se dovessi riproporre “le tre perle, i due sogni e un problema”, che ho chiesto di evidenziare all’inizio del mio ministero qui, parlerei oggi di “tre doni dello Spirito (cf Isaia 11,2), di due desideri dello Spirito (cf Gal 5,16-25), di un giudizio dello Spirito (cf Gv 16,7-11)”.

Ma il mio – il nostro – ringraziamento è rivolto al Signore soprattutto perché «avete accolto la Parola» e continuamente l’accogliete come riferimento fondamentale per la nostra diocesi: diventare Chiesa della Parola deve essere il nostro grande desiderio.

Una Parola che anzitutto consola e conforta aiutandoci a non chiuderci, personalmente e comunitariamente, nelle nostre paure, nelle nostre amarezze, nei nostri sensi di colpa, nelle nostre rabbie, nelle nostre delusioni. Una Parola che come balsamo guarisce i cuori.

Una Parola, poi, che ci offre il linguaggio per interpretare noi stessi e la realtà, ecclesiale e sociale, in cui siamo inseriti. Il senso della scrittura degli “atti della comunità” era proprio questo: interpretare il nostro essere Chiesa alla luce della Parola di Dio, in concreto degli Atti degli apostoli e quindi dell’esperienza esemplare – il che non vuol dire senza problemi… – della prima comunità cristiana.

Grazie a tutte le comunità che hanno affrontato questo impegno. I risultati sono a disposizione di tutti, non per fare classifiche di bravura, ma per incoraggiarci a vicenda e per imparare gli uni dagli altri. In qualche caso – ma già lo si è detto la prima sera – negli “atti” ci si è limitati a descrivere la propria realtà, in altri si sono assunti forse in modo troppo formale gli elementi costitutivi della prima comunità ricavati dal libro degli Atti degli apostoli, in altri casi invece c’è stato uno sforzo maggiore di lasciarsi realmente interpellare dalla Parola di Dio.

Vorrei che comunque il lavoro di questi mesi non restasse in qualche angolo dell’archivio parrocchiale o confinato in qualche link nascosto del sito parrocchiale o diocesano, ma divenisse occasione di condivisione con una cerchia più vasta di parrocchiani o di appartenenti alla realtà ecclesiale interessata e restasse come riferimento per il cammino della comunità. Da parte mia, dopo aver letto tutti gli “atti”, mi è sorto il desiderio – che già ho cominciato ad attuare – di incontrare tutti i vari consigli pastorali parrocchiali partendo proprio dagli “atti della comunità” di ogni parrocchia.

Vorrei aggiungere ancora due annotazioni sulla Parola di Dio. La prima nasce da un suggerimento presentato don Davide Caldirola – che ringrazio di vero cuore – ma anche dall’esperienza di diverse nostre comunità quest’anno e di alcuni organismi diocesani. Si tratta dell’opportunità di iniziare ogni incontro con una breve lectio di un brano della Parola di Dio: una lettura, un breve commento (magari preparato non necessariamente dal sacerdote ma da un partecipante), un momento di silenzio, una semplice condivisione, una preghiera conclusiva. Dieci minuti sottratti alle nostre urgenti discussioni o dieci minuti guadagnati perché ci mettono in sintonia con il Signore, con le sue parole e ci aprono all’azione dello Spirito? E senza la pretesa di ricavare qualcosa dalla Parola: essa non è funzionale ai nostri piani e alle nostre discussioni. La Parola è inutile, è gratuita, come sono gratuiti e inutili i fiori o il profumo. Ma anche l’amore vero è gratuito e non è strumentale a niente.

Posso chiedere a ogni consiglio, gruppo, commissione, … di fare sempre così, di cominciare sempre il nostro ritrovarci ascoltando la Parola di Dio che ci convoca? Sono convinto che può diventare un’abitudine indispensabile, di cui non potremmo più fare a meno e che può cambiarci radicalmente. Se posso fare un esempio personale, quando ero giovane prete e mi era stata fissata la celebrazione della Messa molto presto, facevo fatica a svegliarmi e qualche volta non leggevo prima le letture (capitava anzi che le suore della parrocchia dovessero svegliarmi suonando al citofono dopo 5 minuti che era trascorso l’orario fissato…): a un certo punto il mio confessore me lo ha suggerito come impegno. Da allora, quando rarissimamente mi capita di non leggere prima le letture, mi sento a disagio come se al mattino uscissi per strada ancora in pigiama…

La seconda annotazione sulla Parola è il fatto che essa mette in crisi le nostre convinzioni e le converte, comprese quelle più difficili da cambiare, quelle “religiose”. Intendo dire quelle della nostra religiosità cui siamo attaccati a volte per convinzione, spesso per abitudine e pigrizia. Può essere un modo di rappresentarci un mistero della fede. Un esempio facile da citare è la pentecoste: basta vedere come è raffigurata di solito, con la Madonna al centro dei dodici apostoli, e come è invece descritta nel secondo capitolo degli Atti. Oppure un modo di interpretare un sacramento. Pensiamo alla confermazione. Quante volte mi capita di leggere o di sentire che è la conferma della fede da parte nostra. Non è così, perché è piuttosto la conferma del dono dello Spirito che noi, per sua grazia, siamo chiamati ad accogliere. La salvezza è grazia da accogliere, non è il premio per i nostri sforzi. Un altro esempio: provate a pensare che cosa riteniamo peccato e che cosa invece è peccato secondo la Parola di Dio.

Le linee per il prossimo anno pastorale

Dopo essermi dilungato sulla Parola di Dio, è giusto cominciare ad abbozzare alcune linee per il nostro cammino nel prossimo anno pastorale anche a partire da quanto emerso in queste sere.

La mia intenzione è di proporre comunque una lettera pastorale che faccia da filo conduttore per l’intero anno. Non so ancora quale titolo avrà, né a quale brano della Parola di Dio farà riferimento. Preghiamo lo Spirito perché ci illumini e, naturalmente, sono ben accetti tutti i suggerimenti. Ritengo, però, importante la continuità con il cammino di quest’anno: non occorre necessariamente aggiungere cose nuove, ma è importante far maturare ciò che sta nascendo ed essere disponibili al dono dello Spirito.

Già lo scorso anno avevo in mente un tema da far seguire a “Chi è la Chiesa”, ma da subito mi ero proposto di non imporre i miei schemi, ma di mettermi in ascolto di quanto lo Spirito suggeriva alle comunità. Quel tema non ve lo dico, ma lo metto in surgelatore con quello che avevo già cominciato a scrivere: caso mai lo “scongeliamo” in futuro se servirà…

Restiamo invece sul tema della Chiesa e sui tre punti emersi dagli “atti delle comunità” e su cui ieri sera avete lavorato proponendo diversi suggerimenti: accoglienza, pastorale giovanile, iniziazione cristiana.

Se non sbaglio – ma vorrò sentire su questo il parere del consiglio pastorale, dei decani e dei consultori con cui mi incontrerò con i vicari nei prossimi giorni – ciò che unifica i tre ambiti è l’accoglienza. L’iniziazione cristiana è infatti l’accoglienza e l’introduzione nella comunità di nuovi membri e anche la pastorale giovanile deve esprimere l’ascolto, la vicinanza, l’accompagnamento dei ragazzi e dei giovani perché vengano accolti nella comunità e ne divengano parte come protagonisti di essa.

Se mettiamo insieme il tema della Parola e quello dell’accoglienza il leit motiv del nostro cammino del prossimo anno potrebbe essere: “Una Chiesa che ascolta e che accoglie”.

Vengo ora ai “piccoli passi possibili” che sono stati suggeriti. Vi ringrazio anzitutto per tutto ciò che è stato indicato. Ne farò tesoro nella ripresa che attuerò con i vari consigli e nel corso del lavoro delle prossime settimane di stesura della lettera pastorale. Non sarebbe sensato, infatti, né rispettoso del vostro lavoro, decidere ora cosa recepire e che cosa lasciare, solo dopo una veloce lettura fatta quest’oggi dei verbali dei vari gruppi.

Vorrei però evidenziare la fatica di individuare i passi da compiere, seppure “piccoli”. E’ abbastanza inevitabile, infatti, restare sul vago o sull’astratto. Come pure è facile concludere la ricerca aggiungendo qualcosa, proponendo altre iniziative da organizzare, individuando altre persone da impegnare. Ma se molte parrocchie sono in affanno solo per trovare dei catechisti, dei lettori, degli operatori per la caritas e non riescono a garantire tante volte il necessario, come faranno a trovare altre persone e ad aggiungere altra carne al fuoco? Risultato: ansia, agitazione e scoraggiamento (anche del vescovo…).

A mio giudizio occorre invece puntare su tre cose. Le accenno soltanto, ma avremo modo di riprenderle.

La prima è la maturazione lenta ma progressiva della comunità e non solo di qualche “specialista” in essa. Può essere utile, ad esempio, che inventiamo un “ministero dell’accoglienza”, ma dovrebbe essere normale che quando si vede una persona nuova in chiesa, una, due, tre domeniche di seguito, chiunque dei fedeli abituali, con discrezione e cortesia, la saluti, chieda chi è, la presenti al parroco, la inviti a qualche iniziativa. Un altro esempio: non si può dare rilievo al Battesimo semplicemente trovando a fatica qualcuno disposto a fare il catechista battesimale se poi chi viene abitualmente in chiesa evita di venire alla Messa dove si celebra un battesimo “perché è più lunga…”.

Una seconda cosa su cui puntare è il valorizzare o il rilanciare ciò che già si fa o si faceva. Ho visto con piacere, ad esempio, il suggerimento di riprendere la visita alle famiglie da parte dei sacerdoti con la collaborazione anche dei laici. Non è un modo molto semplice per avvicinare e accogliere tutte le persone? Ho provato a dirlo a qualche sacerdote. La risposta è: “come si fa? non ho tempo…”.

Qui interviene la terza sottolineatura e cioè la necessità di scegliere le priorità e di attivare le collaborazioni. Non si può fare tutto, né si deve fare tutto da soli… Il criterio con cui scegliere le priorità deve venire non dall’abitudine, dall’“abbiamo sempre fatto così”, dal “chissà cosa dice la gente”, … ma dalla Parola di Dio, dall’apertura allo Spirito, dal confronto nella comunità, dal paziente coraggio.

La visita di papa Francesco

Se la nostra assemblea fosse avvenuta prima del 6 giugno, il mio intervento si sarebbe concluso qui. Nella lettera pastorale “Chi è la Chiesa” ho però sottolineato il fatto che il protagonista della vita della Chiesa e della sua missione è lo Spirito Santo, come emerge chiaramente dagli Atti degli Apostoli. Talvolta la sua guida accompagna il cammino intrapreso dagli apostoli, talvolta lo precede (molti sono i casi: per esempio l’episodio di Filippo, uno dei sette, mandato sulla strada deserta per incrociare il percorso dell’eunuco etiope o il caso di Pietro che nella abitazione di Cornelio vede lo Spirito Santo – impaziente… – che scende sui suoi interlocutori pagani ancora prima che essi abbiano ricevuto il Battesimo), talvolta persino lo ostacola (per esempio, nel secondo viaggio missionario di Paolo quando l’apostolo con i suoi collaboratori vorrebbe continuare l’evangelizzazione delle città dell’Asia minore, mentre li attende l’Europa).

Un segno di questo protagonismo dello Spirito che dispone al di là dei nostri programmi, sorprendendoci con la sua iniziativa, è ciò che è capitato il 6 giugno con l’annuncio della prossima visita di papa Francesco alla nostra diocesi. Desidero soffermarmi su di essa, perché l’estate che c’è di mezzo tra qui e il 13 settembre con le diverse attività ma anche con il rallentamento della proposta pastorale, non ci permette molti spazi di intervento e di confronto.

Sono convinto che l’unica chiave corretta per interpretare la decisione del Santo Padre sia quella di vederla come un segno dell’iniziativa dello Spirito Santo. Ogni altro punto di vista per comprenderla, se legittimo, è comunque per lo meno parziale. Non è quindi da vedere come un’iniziativa estemporanea di papa Francesco, non c’è da fare dietrologie su chi ne può rivendicare l’idea e la primogenitura, non ha senso lamentarsi sul tempo e sulle probabili modalità della visita stessa. Di fatto papa Francesco, il vescovo di Roma, ha deciso di venire da noi, sarà qui il 13 settembre e la sua visita è motivata dall’anniversario della grande guerra.

Un indizio che tutto ciò sia da interpretare come iniziativa dello Spirito che ci interpella, può essere visto nel suo essere una proposta improvvisa, ma che insieme coglie un’attesa. Devo confidarvi che già dallo scorso anno avevo pensato all’opportunità di invitare il papa ad Aquileia per concludere un cammino di preghiera, riflessione, confronto che interessasse tutte le diocesi nate dall’antico patriarcato e coinvolte, loro malgrado, nella prima guerra mondiale. Ho nel mio computer una bozza di lettera al Santo Padre, preparata da mesi, che non ho spedito, vuoi perché non ero del tutto convinto che la nostra diocesi potesse sostenere un’iniziativa così impegnativa, vuoi perché a conoscenza che altri più bravi e più coraggiosi di noi si erano già attivati per invitare il papa, vuoi infine perché mi sembrava importante coinvolgere per lo meno le diocesi vicine prima di intraprendere qualsiasi passo.
Di fatto il papa ha deciso di venire da noi e questo supera di slancio tutte le mie, le nostre paure, perplessità, titubanze e ci dà coraggio e serenità nell’accogliere questo dono e nell’affrontare anche gli impegni conseguenti. Accogliamo quindi con gioia e con disponibilità papa Francesco, chiedendo allo Spirito Santo che cosa significhi la sua venuta per il concreto cammino di Chiesa che stiamo vivendo.

Lo accogliamo: una voce del verbo “accogliere” su cui molto abbiamo riflettuto già a partire – ve lo ricordate – dall’assemblea dello scorso anno e anche in queste sere. L’accoglienza non riguarda solo i nuovi venuti, gli stranieri, i poveri, ma anche il successore di Pietro che viene tra noi. Sembra strano, eppure dobbiamo riservare a lui la stessa accoglienza che siamo chiamati avere verso gli altri fratelli. Pensate che bello quando le nostre comunità sapranno accogliere un povero facendolo sentire un papa…

Due sono gli elementi che caratterizzano la venuta di papa Francesco: il suo venire come successore di Pietro, chiamato a confermare la nostra fede e a sostenere la comunione tra di noi e con l’intera Chiesa, e il suo venire nell’anniversario della prima guerra mondiale come pellegrino di pace.

Il papa viene tra noi anzitutto per confermare la fede e per sostenere la nostra comunione. Non è il papa in astratto, ma questo papa, che il Signore ha scelto per il cammino della Chiesa di oggi. Uno degli aspetti più affascinanti della fede cristiana è che essa è caratterizzata dalla incarnazione: il Figlio di Dio si è incarnato in un uomo concreto e la Chiesa è fatta da uomini e donne concrete, che mettono in gioco tutto se stessi – con i doni e i limiti che li caratterizzano – in ogni preciso momento. Oggi il vescovo di Gorizia sono io e non uno dei miei predecessori o dei miei successori, come pure oggi i cristiani di questa diocesi siete voi e non altri. Lo stesso vale per il papa.

Che cosa allora caratterizza la figura e il messaggio di papa Francesco che viene da noi circa la fede? Mi pare di capire che tre sono le sottolineature che fin dall’inizio connotano questo pontificato. Anzitutto il mettere in luce l’evidenza del Vangelo che sconvolge i nostri schemi e rende ciò che fino a poco fa ci sembrava ovvio (per esempio il fatto che il papa abitasse in un suntuoso palazzo), non più ovvio; ciò che ci pareva scontato, non più tale; ciò che ci sembrava tradizione, un’incrostazione del tempo o l’elegante giustificazione di una nostra pigrizia. Per una Chiesa come la nostra che fa fatica a sciogliere certe resistenze, ma che comunque ha scelto di riferirsi alla Parola di Dio, l’evidenza del Vangelo, la sua freschezza e la sua gioia è un dato fondamentale che papa Francesco ci testimonierà e ci aiuterà a vivere con maggior intensità.

Una seconda caratteristica del magistero di papa Francesco è la sua insistenza sulla misericordia. Abbiamo bisogno di sentire che per tutti c’è salvezza, c’è perdono. Non importa quanto grande sia il nostro peccato, c’è comunque perdono. Salvo si assuma quell’atteggiamento che papa Francesco anche in questi giorni ha definito come “corruzione”.

Collegata alla misericordia, c’è l’insistenza sulla grazia ed è una terza sottolineatura. Il nostro peccato più grande è quello di sentirci noi i protagonisti della nostra salvezza. Noi non ci salviamo, ma siamo salvati. Il Signore non interviene a cominciare da dove non riusciamo a proseguire noi, ma è all’inizio del nostro stesso esistere. Tutto è grazia e quindi tutto è misericordia.

Papa Francesco viene poi per rafforzare la nostra comunione e la comunione della nostra Chiesa con tutte le Chiese del mondo. Penso sia un invito per ripensare – come già più volte sottolineato – il nostro impegno missionario all’interno della comunione e della collaborazione tra Chiese sorelle, dove c’è uno scambio reciproco di doni per crescere secondo i disegni dello Spirito. Una Chiesa di “confine” come la nostra può solo guadagnarci assumendo un respiro di cattolicità.

Papa Francesco, infine, giunge tra noi – ed è la sua prima intenzione – nell’anniversario della prima guerra mondiale. “Inutile strage” l’ha definita il suo predecessore, papa Benedetto XV. Noi ci siamo stati in mezzo a questa strage, che poi ha avuto la continuazione altrettanto tragica della seconda guerra mondiale. Le cicatrici delle ferite che abbiamo subito, anche come Chiesa, sono ancora evidenti.

Ritengo che nel ricordare i cento anni della prima guerra mondiale e i settant’anni della conclusione della seconda, corriamo però tre rischi. Il primo è quello di mantenere sotto traccia, nascoste da una formale correttezza di rapporti, sofferenze, amarezze, rivendicazioni. Il secondo è quello di appassionarci alle vicende di 100 anni fa a livello di ricerca o curiosità storica senza che esse però interpellino il presente. Il terzo è quello di avere la testa indietro, rivolta al passato, con la tentazione di autogiustificare (e persino autocommiserare…) un presente un po’ grigio, senza guardare con coraggio e inventiva al futuro.

La presenza di papa Francesco e la sua parola potrà aiutarci in un cammino di purificazione della memoria; di crescita nella riconciliazione, comprensione e valorizzazione reciproca; di assunzione di un approccio “religioso” e spirituale (a cominciare dalla preghiera per i giovani delle nostre terre e di ogni altra nazionalità caduti nei due conflitti mondiali); di approfondimento delle ragioni della pace.

Non conosciamo in questo momento il programma della visita, sicuramente breve, di papa Francesco. Qualunque esso sia, esso si svolgerà comunque nella nostra diocesi. Il suo magistero sarà in ogni caso per noi e per le diocesi sorelle, ferite cento anni fa dalla guerra, una traccia da seguire durante i prossimi quattro anni per ricordare secondo il Vangelo l’anniversario di una immane tragedia.

† Vescovo Carlo